KARATE – DO

Il Karate non è il prodotto di una sola persona in un unico momento. Il Karate è dato dalla diffusione e trasformazione di secoli di storia e avvenimenti. Esiste una relazione diretta tra il momento storico e la disciplina.

Il Karate è nato nel momento in cui l’uomo ha avuto la necessità di difendersi e preservare la propria vita, quindi si potrebbe dire che già dalla preistoria era nata questa necessità.

In particolare nel periodo Satsuma il Karate era inteso come un insieme di tecniche per difendere se stessi e la famiglia. Il Karate era vivere o morire.

Il primo concetto fondamentale del Karate infatti è MIO MAMORU, cioè il corpo si chiude davanti ad un pericolo, c’è l’istinto di difendersi e proteggere il proprio corpo.

ORIGINI ZEN della PRATICA MARZIALE del KARATE

La storia vuole che le origini del Karate siano strettamente legate al monaco indiano Bodhidharma, conosciuto anche sotto il nome giapponese di Daruma Daishi, fondatore della setta contemplativa del Buddismo chiamata Dhyana (conosciuta più tardi in Giappone con il nome di Zen). Il Bodhidharma è considerato il simbolo delle arti marziali. E’ nato nel 470 e si pensa sia morto nel 543.Bodhidharma apparteneva ad una famiglia nobile dell’India e pur essendo ricordato come un personaggio strano, fu un grande studioso del Buddismo ed è attualmente considerato il patriarca della filosofia e dei principi zen.Intorno al 520 d.c. egli lasciò la famiglia e la ricchezza per spostarsi dall’India alla Cina per diffondere il proprio credo religioso. Accolto inizialmente dalla corte Imperiale di Liang Wu Ti, dovette più tardi allontanarsene a seguito di scontri con l’Imperatore la cui fede religiosa, più formale e scientifica, non concordava con la sua, più interiorizzata, personale ed intuitiva.

Dopo l’espulsione dalla corte Imperiale Cinese il monaco Bodhidharma raggiunse il tempio di Shorinji, nell’odierna provincia di Ho-Nan, nel nord-est della Cina, meglio conosciuta con il nome di Shaolin o Hsiao-Lin. Si dice che al suo arrivo s’inginocchiò di fronte ad un muro e meditò per nove anni tanto da perdere totalmente l’uso dei piedi e delle mani: è dopo questo lungo periodo che fondò la filosofia Zen. Nel tempio Shaolin raccolse attorno a sé una stretta cerchia di monaci, a cui insegnò la sua filosofia che si basava essenzialmente sulla meditazione e sulla concentrazione che permettevano l’acquisizione di straordinarie qualità psichiche.

La filosofia zen è caratterizzata da 2 principi fondamentali che dobbiamo ricercare e ritrovare anche nella pratica marziale:

1° principio zen: vivere il momento, fare e sentire la tecnica che si sta facendo in quel momento. Non pensare né al passato, né al futuro, vivere il momento, pensare al qui e ora.

2° principio zen: rompere i concetti dualisti. È la mente che crea i concetti dualisti, non bisogna pensare ma creare un tutt’uno tra mente, corpo e spirito.

Bodhidharma è stato il patriarca di questi principi zen e predicava l’importanza dell’unione mente-corpo-spirito per ottenere e raggiungere l’elevazione spirituale della persona.

Per la prima volta un’arte marziale viene definita come un mezzo per arrivare ad uno stato spirituale e sotto questo aspetto possiamo considerare la dottrina di Bodhidharma come la base di tutte le arti marziali.

Non si può certo dire che Bodhidharma creò il Karate, tuttavia si può pensare che sviluppò una serie di esercizi fisici, basati soprattutto sulla respirazione, atti a rafforzare gli arti molto provati dalla lunga meditazione. Queste tecniche furono alla base d’un metodo di combattimento conosciuto in Cina con il nome di SHAO-LIN-KEMPO. Fino alla sua morte il monaco insegnò ai suoi discepoli le tecniche che aveva messo a punto per conservare la salute e soprattutto per giungere all’unione del Corpo e dello Spirito. E’ per quest’ultimo aspetto che l’apporto di Bodhidharma fu decisivo per l’orientamento futuro che presero le arti marziali. Egli affermò che Corpo e Spirito sono nozioni inscindibili e che la Verità non può essere raggiunta al di fuori di questa unione. La meditazione e la pratica rigorosa costituivano lo strumento per poter arrivare al vuoto totale. Bodhidharma diceva che bisogna iniziare con il fisico per poi arrivare al vuoto corpo-mente-spirito. Non bisogna parlare, bisogna fare e praticare. Questo è il concetto fondamentale che caratterizza, o meglio dovrebbe caratterizzare tutte le arti marziali.

Dal punto di vista tecnico il metodo del monaco indiano appare come la sintesi di usanze guerriere locali e delle teorie indiane sull’arte della guerra. Originariamente l’unico scopo del Kempo, fu più una sorta di allenamento fisico non violento, anziché una vera e propria disciplina marziale, rafforzava la psiche attraverso il corpo e per questo fu tenuto segreto; veniva insegnato e praticato soltanto dentro le mura del tempio e solamente a quei monaci che vi entravano per vocazione definitivamente.

Gli Shaolin, nei lunghi anni di insegnamento e di meditazione, avevano sviluppato diversi stili, modificando le caratteristiche iniziali del Kempo da cui derivano il Kung-fu, il Tai chi chuan, il Po kua, l’Hising-i; tutti avevano però in comune le stesse caratteristiche e le stesse finalità: coordinazione mentale fortissima, movimenti circolari, spostamenti laterali, strategia del contrattacco dopo la difesa.

Le persecuzioni governative ed i ripetuti incendi distrussero definitivamente il tempio di Shorinji, disperdendo i pochi monaci superstiti; la successiva legge imperiale proibì l’uso delle armi ed i monaci ritennero loro dovere aiutare la popolazione indifesa di fronte ad ogni sopruso e vessazione. Insegnarono la loro disciplina alle masse oppresse perché potessero difendersi dalle bande dei briganti che infestavano il paese compiendo ogni sorta di delitti e dai funzionari governativi corrotti che approfittavano del loro potere e dello scarso controllo imperiale per estendere i loro domini, a spese dei contadini e dei piccoli proprietari terrieri.

Dal momento della scoperta dell’aspetto spirituale il buddismo Zen fu un vero e proprio veicolo per la diffusione delle arti marziali, e soprattutto per i metodi che si praticavano senza l’ausilio di armi o solo con un bastone, unica arma che potevano possedere i monaci durante le peregrinazioni. Dopo la morte di Bodhidharma i monaci di Shao-Lin si divisero soprattutto a causa delle numerose invasioni che il monastero dovette subire. Alcuni di essi si misero ad insegnare lo Shao-Lin-Kempo ma ben presto questo perse il suo originale aspetto spirituale per limitare la sua essenza ad un sistema di difesa, acquistando sempre più le caratteristiche di un’arte marziale vera e propria. Il Kempo raggiunse il Giappone insieme alla filosofia Zen, verso il 947 d.c. , nel periodo successivo alle persecuzioni dei monaci buddisti: lo Zen penetrò nell’arcipelago giapponese fino a giungere ai guerrieri Samurai. Si diffuse soprattutto nelle isole Ryukyu e principalmente ad Okinawa, dove prese piede gradualmente nel corso dei secoli e si affermò fra la popolazione come arma di difesa contro gli invasori, sia cinesi che giapponesi, che si contendevano l’arcipelago. In effetti le isole rappresentavano in quel periodo un ponte tra la Cina ed il Giappone ed erano soggette ad entrambi gli Imperi.

Il Kempo si diffuse rapidamente come arma di difesa, così com’era successo in Cina. Gli scambi tra i maestri cinesi che si trasferirono nelle isole e i maestri giapponesi che si recavano in Cina per perfezionare la loro arte e ritornavano riportando nuove tecniche, arricchirono e migliorarono la disciplina che, ribattezzata prima come TODE (mano cinese) e successivamente come KARATE (mano vuota), si impose sugli altri metodi di combattimento senza armi per la sua efficacia e semplicità.

Migliorato nelle tecniche e modificato in alcune strutture, il “nuovo” Karate si differenziava dal Kempo cinese per la maggior efficacia dei colpi in un contesto, tutto sommato, limitato nelle tecniche; inoltre era quasi del tutto scomparsa la matrice religiosa che lo aveva generato e caratterizzato.

Ad Okinawa si moltiplicarono le scuole e gli stili; lo Shotokan ryu si dice sia stato fondato nel 1922 dal M° Funakoshi, successivamente nel 1930 il M° Kenwa Mabuni fondò ad Osaka lo Shito-ryu e il M° Chojun Mjyagi fondò il Goju-ryu. Nel 1936 nasce il Wado-ryu del M°Hironori Otsuka.

Durante gli anni precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale, gli occidentali vennero a contatto e si interessarono al Karate e alle altre arti marziali giapponesi. Successivamente molti maestri giapponesi e cinesi si trasferirono in Europa, soprattutto in Francia e in America dove insegnarono la loro disciplina diffondendola rapidamente in tutto il mondo occidentale.

E’ importante capire che l’originaria influenza zen si ritrova anche analizzando il termine KARATE:

KARA: vuoto

TE: mano

DO: via

Si tratta di 3 Kanji diversi che significano la via della mano vuota.

Il significato più intuitivo e di più facile comprensione è che KARA = VUOTO, inteso come “mani senza armi”, nel senso che ho fatto del mio corpo un’arma.

Il significato più profondo è che ci riporta ai concetti originari della filosofia zen è quello di KARA = MAKOTO (concetto giapponese)

Il termine Makoto identifica il concetto di cuore puro, aperto, autentico e sincero. Si tratta del concetto di cuore vuoto di qualsiasi malintenzionalità. Dal punto di vista filosofico il KARA è il vuoto inteso come mancanza di razionalità, cioè tra il corpo e la tecnica finale non ci deve essere interferenza razionale.

Spesso il Karate ha perso questa essenza perché nella sua diffusione è diventato soprattutto una disciplina agonistica.

Oggi il Karate è conosciuto e praticato, talvolta travisato e svilito, in tutto il mondo, ma bisogna conoscerne le antiche origini e le motivazioni che lo hanno generato per ricondurlo alla sua esatta natura e ritrovarne quindi le vere radici e la sua reale fisionomia. Forse l’unico modo per capirlo appieno è praticarlo con coscienza e consapevolezza.

Calligrafia della parola giapponese karatedō.

Karate (空手) è un’arte marziale nata nelle Isole Ryukyu, (oggi Okinawa), in Giappone. Fu sviluppato dai metodi di combattimento indigeni chiamati: te (手 letteralmente: “mano vuota”?) e dal kenpō cinese. Prevede la difesa a mani nude, senza l’ausilio di armi, anche se la pratica del Kobudo di Okinawa, che prevede l’ausilio delle armi tradizionali (Bo, Tonfa, Sai, Nunchaku, Kama), è strettamente collegata alla pratica del Karate. Attualmente viene praticato in versione sportiva (privato della sua componente marziale e finalizzata ai risultati competitivi tipici dell’agonismo occidentale) e in versione arte marziale tradizionale per difesa personale. Nel passato era studiato e praticato solo da uomini, ma col passare dei secoli anche le donne si sono avvicinate a questa disciplina.

Il Karate fu sviluppato nel Regno delle Ryūkyū prima della sua annessione al Giappone nel XIX secolo. Fu portato sul continente giapponese durante il periodo degli scambi culturali fra i nipponici e gli abitanti delle Ryukyu. Nel 1922 il Ministero dell’Educazione Giapponese invitò Gichin Funakoshi a Tokyo per una dimostrazione di karate. Nel 1924 l’Università Keio istituì in Giappone il primo club universitario di Karate, e nel 1932 tutte le maggiori università avevano i loro club. In un’epoca di crescente militarismo giapponese, il nome fu modificato da mano cinese (唐手?) a mano vuota (空手?)– che in entrambi i modi viene pronunciato karate – ad indicare che i nipponici svilupparono una forma di combattimento di stile giapponese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Okinawa divenne un importante sito militare statunitense ed il Karate popolare tra i soldati stanziati sulle isole.

Shigeru Egami, capo istruttore del Dojo Shotokan, riteneva che “la maggior parte dei sostenitori del karate nei Paesi oltre mare vedeva questa disciplina solo come una tecnica di combattimento. Film e televisione rappresentavano il karate come un modo “misterioso” di combattere, capace di causare la morte o il ferimento dell’avversario con un singolo colpo. I mass media lo rappresentavano come una pseudo arte lontana dalla realtà. Shōshin Nagamine scrisse: “Il Karate può essere considerato come una lotta con se stessi, o come una maratona lunga tutta la vita che può essere vinta solo attraverso l’autodisciplina, il duro allenamento e i propri sforzi creativi.”

Nato come arte marziale per il combattimento e l’autodifesa, con il tempo il karate si è trasformato in filosofia di vita, in impegno costante di ricerca del proprio equilibrio, in insegnamento a “combattere senza combattere”, a diventare forti modellando il carattere, guadagnando consapevolezza e gusto nella vita, imparando la capacità di sorridere nelle avversità e di lavorare con determinazione e nel rispetto degli altri. Solo quando questo insegnamento verrà compreso appieno, sostengono i suoi estimatori, l’allievo potrà essere veramente libero e realizzato.

Descrivere in modo dettagliato l’evoluzione del karate risulta difficile per mancanza di fonti storiografiche certe. Si possono solo formulare ipotesi riguardo alla nascita e alla diffusione iniziale di quest’arte marziale, utilizzando rare fonti costituite perlopiù da racconti e leggende trasmessi oralmente. Dal XIX secolo in poi, la storia risulta più chiaramente documentata.
La storia del Karate parte da un arcipelago a sud del Giappone, le isole Ryūkyū (in origine scritto Ryu-kyu), e in particolare da una di queste, l’isola più grande: Okinawa. Non è possibile affermare con certezza se esistesse già una forma di combattimento autoctona; tuttavia, si crede che fosse già praticata un’arte “segreta”: l’Okinawa-te.

L’arcipelago delle Ryu-Kyu era diviso in tre regni. Per molti secoli Okinawa – nell’arcipelago dei Tre regni delle Ryu-kyu, che allora erano stati a sé, indipendenti dal Giappone – aveva mantenuto rapporti commerciali con la provincia cinese di Fukien e fu così, probabilmente, che conobbe alcune arti marziali cinesi come il kempo o chuan-fa / quan fa («Via del pugno»), nato secondo la tradizione nel monastero di Shàolín-sì, modificandolo col passare degli anni secondo metodi locali. La stessa isola di Okinawa era divisa in tre principati: Hokuzan (北山 Montagna settentrionale), Chūzan (中山 Montagna centrale) e Nanzan (南山 Montagna meridionale). Sho Hashi, re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni delle Ryu-kyu. Poco più tardi, Sho Shin (che regnò dal 1478 al 1526), per mantenere la pace, intorno al 1500 vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino del castello di Shuri. Dopo la battaglia di Sekigahara, il clan vittorioso dei Tokugawa concesse al clan degli Shimazu, che governavano il bellicoso feudo di Satsuma nell’isola di Kyushu, di occupare le Ryu-kyu: 3.000 samurai compirono l’invasione senza incontrare valida resistenza (1609).

Poiché fu rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, gli abitanti si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori.

Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche to-de («mano cinese» [l’ideogramma to caratterizza la dinastia Tang]), che si differenziava in tre stili: Naha-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina meridionale, Shuri-te e Tomari-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina settentrionale. Va precisato che Naha era la capitale dell’isola di Okinawa, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha).

L’ideogramma te () letteralmente indica la parola “mano”, ma per estensione può anche indicare “arte” o “tecnica”; il significato di Okinawa-te, quindi, è “arte marziale di Okinawa”.

Essa era praticata esclusivamente dai nobili, che la tramandavano di generazione in generazione. Secondo le credenze popolari, come detto sopra, la nascita del karate è dovuta alla proibizione dell’uso delle armi nell’arcipelago delle isole Ryūkyū.

Ciò è vero solo in minima parte, in quanto l’evoluzione di quest’arte marziale è molto più lunga e complessa. Nei secoli XVII e XVIII le condizioni dei nobili di Okinawa cambiarono notevolmente; l’improvviso impoverimento delle classi alte fece sì che gli esponenti di quest’ultime iniziassero a dedicarsi al commercio o all’artigianato. Fu grazie a questo appiattimento tra i due ceti che l’arte “segreta” iniziò a penetrare anche al di fuori della casta dei nobili.

La conoscenza del te restava uno dei pochissimi segni di appartenenza passata a un’elevata posizione sociale. Per questo motivo i nobili, ormai divenuti contadini, tramandavano quest’arte a una cerchia ristrettissima di persone, quasi in modo esoterico.

Così facendo si è avuta una dispersione dell’arte originale e furono gettate le basi per i vari stili di karate. Fondamentale per la nascita del tode furono anche le arti marziali cinesi. Le persone che si recavano in Cina, anche per due o tre anni, avevano modo di studiare le arti marziali del luogo e, in molti casi, cercarono di apprenderle. Le arti marziali cinesi si basano su concetti filosofici e su un’elaborata concezione del corpo umano; era quindi impossibile imparare le arti cinesi nello spazio di un solo viaggio. I viaggiatori giapponesi appresero quel che potevano. Si pensa quindi che sia stata possibile una sorta di fusione tra le arti arrivate dalla Cina, che comunque costituivano uno stile non metodico, e il te okinawese. Una prova di questo importante scambio culturale tra Okinawa e Cina è fornita da un maestro vissuto in epoca successiva, Ankō Itosu. In uno scritto di suo pugno vede le origini del karate nelle arti cinesi e sottolinea come non abbiano influito né il Buddhismo né il Confucianesimo.

Il primo maestro delle Ryu-kyu fu Kanga Sakugawa di Shuri (1733-1815), signore di Okinawa ed esperto di te; era soprannominato “Tode” perché combinò il kempo, da lui studiato in Cina, con le arti marziali di Okinawa. Egli fu il primo maestro che provò una razionalizzazione e una codificazione delle arti diffuse ad Okinawa. Tuttavia trascorse ancora qualche decennio prima dello sviluppo di una vera e propria scuola di tode.

Il fondatore di questa scuola fu il suo allievo Sōkon Matsumura (1809-1901); egli fu maestro del grande Ankō Asato (o Azato 1827-1906), a sua volta maestro di Gichin Funakoshi (1868-1957).

Il suo stile di tode era chiamato Shuri-te (arte marziale di Shuri) in quanto Matsumura era residente proprio nella città di Shuri. Egli basò il proprio insegnamento su tre punti fondamentali: la pratica dell’arte autoctona di Okinawa, l’arte giapponese della spada (Jigen-ryū) e la pratica delle arti cinesi. Nacque così il vero e proprio tode. Anko Itosu (1832-1916), allievo esterno di Matsumura, grande amico di Azato e anch’egli maestro di Funakoshi, introdusse il to-de nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan (presenti nel karate degli stili come il Wado-Ryu e Shito-Ryu. Il primo M° (= Maestro) di Okinawa a recarsi in Giappone fu Motobu Chōki di Shuri (1871-1944), straordinario combattente, ma illetterato, che perciò non ottenne grande successo come insegnante. Solo più tardi, con l’arrivo dell’allievo Funakoshi, divenuto poi maestro, il l’Okinawa-te poté diffondersi nel paese del Sol Levante.

Si dice che il primo maestro di Naha-te fosse Higaonna Kanryō, noto anche come Higashionna (1853-1915; secondo alcune fonti la nascita sarebbe nel 1840). Kanryio Higaonna aiutò molto Funakoshi nella diffusione del karate in Giappone. Con questa diffusione, l’Okinawa-te divenne così il Karate.

Gichin Funakoshi nacque a Shuri. Bambino gracile e introverso, si appassionò alle arti di combattimento: studiò con Azato, padre di un suo compagno di scuola e maestro di svariate arti marziali, poi con Itosu, quindi con Matsumura. Era non solo un abile calligrafo, ma conosceva anche i classici cinesi; pertanto nel 1888 cominciò ad insegnare in una scuola elementare.

Nel 1921 passò per Okinawa il principe Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri Funakoshi organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata. Lasciato l’insegnamento, nella primavera del 1922 Funakoshi fu scelto per eseguire una dimostrazione di karate alla Scuola Normale Superiore Femminile di Tokyo, ove si stabilì.

Nel 1922 scrisse Ryu-kyu kempo: karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa). Nel 1935 pubblicò Karate-do kyohan, molti anni dopo tradotto dal maestro Oshima.

I primi anni furono difficili soprattutto sotto l’aspetto economico. Nel 1931 il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù. Dopo aver utilizzato un’aula del Meisei Juku (un ostello per studenti di Okinawa nel quartiere Suidobata), per qualche tempo Funakoshi fu ospite nella palestra del maestro di scherma Hiromichi Nakayama.

Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan («casa delle onde di pino») a Zoshigaya. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi. Per facilitare la diffusione del karate in Giappone l’ideogramma to, che si leggeva anche kara («cinese»), fu cambiato con un altro avente la stessa pronuncia, ma il significato di «vuoto» (sia nel senso di «disarmato», che in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto Zen di mu-shin). Vennero inoltre cambiati in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili.

Nel dopoguerra il generale Mac Arthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l’anima dello spirito militarista nipponico, ma a poco a poco l’interesse per il karate crebbe anche in Occidente e Funakoshi fu ripetutamente invitato a dare dimostrazioni.

Funakoshi lasciò la direzione dello stile Shotokan al figlio Yoshitaka, che trasformò profondamente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci. Yoshitaka morì di tubercolosi nel 1953. Ricordiamo che la diffusione del karate nel Giappone si deve ai maestri Funakoshi e Higaonna, ma la diffusione di esso in tutto il mondo orientale, si deve all’allievo e successore di Higaonna: Chojun Miyagi, nato nel 1888 e morto nel 1953.

Dal Karate nacquero poi diverse correnti di pensiero e il Karate si divise così in vari stili.

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